“Flop” è la brutta “sintesi” onomatopeica (ricorda il rumore del bastone fecale che cade nella tazza del bagno) che ricorre ben 141.000 volte nelle occorrenze di Internet dedicate a Tempo di Libri, il doppio esatto dei visitatori che si sono recati a Rho, pagando il biglietto d’ingresso, per vedere e comprare a prezzo pieno gli stessi libri che avrebbe trovato dal libraio sotto casa con lo sconto del 20%… Una brutta storia questa del salone voluto dall’AIE a Milano e per il quale si era combattuta una battaglia senza esclusione di colpi contro Il Salone del Libro di Torino. Una storia di incapacità e di arroganza, di miopia e di arretratezza intellettuale che sembra aver colpito gli editori – la categoria imprenditoriale più prossima alla cultura, e che invece, con questo clamoroso fallimento, dimostra tutta la propria insipienza.
Un flop ahimé facile da prevedere:
“Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. 16Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? 17Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; 18un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. 19Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. 20Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere”.
E falsi profeti si sono dimostrati appunto i vertici dell’Associazione Italiana Editori, che invece di cercare soluzioni vere a una crisi del libro che attraversa il mondo intero, hanno pensato solo di mostrare i denti , l’un contro l’altro armati, per rincorrere un mercato ormai – lo si è visto bene dalle affluenze – quasi inesistente.
Avrebbero dovuto piuttosto convocare una Costituente del Libro destinata a ripensare e a ridisegnare le nuove “regole” di nuove modalità produttive e distributive adeguate ai nuovi scenari non solo tecnologici ma soprattutto culturali e politici; per tentare di re-inventare il modo di far circolare i “contenuti immateriali” di quell’oggetto chiamato Libro che per 500 anni si è imposto come strumento principe della trasmissione dei saperi ma che è ormai entrato in una crisi irreversibile delle logiche corporative della distribuzione tradizionale.
Invece di affrontare il problema alla radice, ripensando le regole organizzative di un mercato ormai definitivamente asfittico, gli editori italiani si sono accapigliati per un osso ormai spolpato e marcito . Perché se l’Atene milanese piange la Sparta torinese non ha niente da ridere: anche il loro Salone è ormai condannato ad essere un residuato bellico come scrivevo nel vicinissmo e lontanissimo 2013 (http://www.guaraldilab.com/tag/editori-italiani/).
Si raccolgono forse Libri dalle spine di un litigio fra corporazioni o Lettori dai rovi di una pratica produttiva e distributiva totalmente obsoleta? Peccato che il Ministro Franceschini non abbia saputo inserirsi in questa lotta medioevale con l’intelligenza che sarebbe stata necessaria, convocando la Costituente che da anni invoco (vedi lettera al Presidente Napolitano).
Mario Guaraldi
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